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08/10/2016

Cult

PERSONAGGIO

Nicola Pucci

LA SCATOLA DEI COLORI

  Pittore palermitano molto raffinato e sensibile, in lui il cromatismo

rappresenta l’essenza di un quadro. Nelle sue tele coglie attimi inconsueti di uomini, donne e animali

«Paola Pottino

 E’ affascinato dalla realtà che lo circonda, cattura l’attimo come se fosse sospeso nell’aria, indifferente delle sue con-

seguenze. Il flusso del pensiero scorre impresso in un unico istante. Le contraddizioni affascinanti dell’arte di Nicola Pucci, pittore palermitano, lo rendono un artista ricercato, sensibile, che oscilla tra le provocazioni del teatro dell’assurdo di lonesco e la pittura figurativa di Francis Bacon, artista del Novecento da lui molto amato. Se pensiamo che il grande amore per l’arte è nato da una scatola di colori che gli fu regalata dalla madre, stentiamo a credere come

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quest’uomo, da ragazzino timido e introverso, sia diventato un attento osservatore della realtà, amaro nel constatare l’inconsistenza dell’uomo, quasi depotenziato della capacità intellettiva, ma grande estimatore degli animali visti, al contrario degli uomini, come l’essenza dell’autenticità. E sarà forse per questo che Nicola Pucci ha trasformato il suo gallo in un perfetto animale domestico col quale è nato un rapporto simbiotico simile a quello che molte persone stringono con i gatti o con i cani. Due grandi occhi vivaci e un sorriso ironico, Nicola Pucci racconta della sua arte, dell’attenzione quasi maniacale per i dettagli. Un volto, una mano, un oggetto delineati alla perfezione che via via sfuggono al pittore, che con coscienza ne sfuma i contorni per poi focalizzare la sua attenzione soltanto su alcuni punti essenziali. Diverso è il rapporto con le donne. Ritratte nella loro bellezza, incapace di renderle banali, perché nella donna, creatrice di vita, nulla può essere scontornato e violentato. Le sue opere non vengono mai completamente terminate. Il pittore, mette un punto un attimo prima della fine, questa è infatti la sua filosofia artistica: lasciare in sospeso soggetti, azioni, situazioni e, forse, anche la stessa vita.

 

 L’amore per l’arte scoperto grazie ad  una scatola piena di colori.

«La colpevole è stata mia madre! Un Natale di parecchi anni fa, mi regalò una bellissima scatola di colori “cari-oca” e io mi misi subito a disegnare: Da piccolo mi divertivo moltissimo a ricopiare i personaggi ritratti sulle foto del Giornale di Sicilia. Poi iniziai a disegnare i miei sogni di bambino e poi grazie con gli acquarelli dipinsi il mio primo campo di papaveri. Più in là, a una mostra di Mirò, rimasi folgorato dall’arte figurativa e capii che la pittura era entrata davvero nel mio cuore».

Anni dopo lei si iscrisse a un corso di illustrazione all’Istituto Europeo a Roma.

«Si, anche se io sono stato un tipo molto indisciplinato e dover frequentare una scuola obbligatoriamente con lezion e orari da rispettare mi annoiava un po’. E poi questa scuola non lasciava molto spazio alla fantasia. L’illustrazione è sempre al servizio di un committente e ti limita un po’, ma fortunatamente ho avuto

bravi insegnanti coi quali ho lavorato molto sul cromatismo».

Lei nutre un autentico rispetto verso il colore.

«Ai miei esordi utilizzavo i colori forse in maniera troppo istintiva ed euforica. Col tempo e con l’esperienza imparai ad avere una sensibilità cromatica fondamentale per la pittura. Sono i colori che rappresentano l’anima di un quadro».

Le piace osservare attentamente la realtà che la circonda.

«Mi piace osservare, guardarmi attorno oltre che dentro, e la pittura mi consente di trasportare su tela questo continuo flusso di pensiero ed emozioni. Nei miei quadri il movimento diventa elemento essenziale, nasce spesso come atto più istintivo che pensato, lo rappresento nella sua sospensione, mi interessa l’azione nel momento in cui viene svolta, non tanto il suo esito, la immagino senza inizio né conclusione. È decontestualizzata, inconsueta come inconsueti sono i contesti in cui accade».

ll protagonista è quasi sempre l’uomo.

«Quando ho iniziato a dipingere, il mio, era un uomo spaesato, la scena essenziale, immaginata come un palcoscenico. Erano anni in cui leggevo molto lonesco, attratto dall’assurdo in tutte le sue sfaccettature. È di questo periodo la serie di dipinti che ho chiamato “Lettura quotidiana”. Ho rappresentato alcuni uomini seduti su sedie disposte in circolo dove ognuno legge il giornale del vicino, creando un movimento vorticoso in cui l’azione fatta viene anche subita e che sostanzialmente rappresenta

l’incomunicabilità».

 Le donne da lei ritratte sono bellissime, ben definite. A loro riserva un trattamento differente rispetto agli uomini.

«Ad esempio, nel quadro intitolato “La soffiatrice”, ritraggo una donna che grazie al suo soffio delicato sostiene il primo volo del pulcino. La donna è consapevole del suo potere, il gesto è voluto e, in questo caso, ottiene un effetto. È un inno alla vita».

Ma ha anche dipinto e amato molto gli animali.

«All’inizio ero affascinato dal gallo sia per i colori che per la sua staticità, accompagnata al contempo dal movimento delle ali. L’animale rappresenta, a differenza dell’uomo, l’essenza dell’autenticità che spesso diventa consapevolezza. Spesso ritraggo un animale fuori scala, ingigantito come si evince dal quadro la “Donna con galli”. Un animale sempre meno istintivo che, cosciente di sé, si prende cura di un uomo divenuto ormai meno consapevole».

A proposito: lei convive con un gallo al quale ha dato il nome di Picciriddo. Non è un po’ insolito?

«(Ndr sorride) Comprai un pulcino per ritrarlo, fu un’esperienza tenerissima e lui divenne la mia musa ispiratrice. Dopo un giomo però, non sapendo come gestirlo, lo riportai al negoziante, ma trovai il negozio chiuso e da quel momento diventammo inseparabili. Oggi vive insieme a una gallina nel mio terrazzo, e quando ritomo a casa mi accoglie proprio come se fosse un cane. Quando dipingo si appollaia su una poltrona e mi guarda con tenerezza».

Quando un dipinto è finito?

«Non concepisco mai un quadro del tutto finito, diciamo che giungo a uno stadio in cui preferisco non lavorarci più. Alcune volte riscopro quadri non risolti, messi da parte e accantonati da anni. Rivedendoli si riaccende un’emozione dimenticata. Riprendo a lavorarli in maniera istintiva e riesco a emozionarmi nuovamente».

Mostre in programma?

«Dal 9 al 20 novembre sarò a San Benedetto del Tronto alla Palazzina Celeste e successivamente, a febbraio, esporrò all’Andipa Gallery di Londra».

 

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